Jenin, gli spari dell’Idf con i diplomatici in visita. Furiosi i Paesi della Ue - la Repubblica

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TEL AVIV – Colpi d’avvertimento sparati in aria per allontanare una delegazione formata da trenta diplomatici di diversi Paesi — arabi, asiatici ed europei — a Jenin, nella Cisgiordania


occupata. Li ha sparati l’esercito israeliano, nei pressi di uno dei cancelli dello storico campo profughi creato negli anni Cinquanta dai palestinesi in fuga da Haifa. Uno spazio ormai


vuoto da mesi: sgombrato dai militari lo scorso gennaio nel corso di un’operazione chiamata “Muro di ferro”, ufficialmente condotta per «sradicare il terrorismo» ma che in pratica ha portato


all’allontanamento di circa 40mila persone dalle loro case. E infatti la visita era stata organizzata dal ministero degli Esteri dell’Autorità Palestinese proprio per raccontare ai


rappresentanti dei governi stranieri «la distruzione e la sofferenza» della popolazione. Prima era stata però dettagliatamente discussa con l’esercito, che l’aveva autorizzata. Anche il


percorso era stato accuratamente definito perché, avevano detto gli uomini dell’Idf, «in zona ci sono ancora combattimenti attivi».


Cosa abbia innervosito i militari sul campo, non è chiaro. Secondo quanto riportato dal portavoce, «la delegazione ha deviato dal percorso ed è arrivata in una zona in cui era vietato


sostare. I soldati hanno sparato colpi di avvertimento per tenere quelle persone lontane». Alcuni giornalisti palestinesi che seguivano i politici locali alla guida del gruppo, avevano le


telecamere accese e poco dopo hanno diffuso le immagini di quanto accaduto, dove si vede chiaramente la pattuglia che spara dall’interno del campo. E i diplomatici che, dopo un momento di


confusione, corrono verso le loro auto. Fortunatamente non ci sono stati feriti, ma solo momenti di forte tensione.


Fra i funzionari internazionali c’era anche il viceconsole italiano a Gerusalemme, Alessandro Tutino. Una volta rientrato in sede, ha riferito i fatti al ministro degli Esteri Antonio Tajani


che lo aveva chiamato per assicurarsi delle sue condizioni e avere chiarimenti sull’accaduto. «Le minacce contro i diplomatici sono inaccettabili. Chiediamo al governo di Israele di


chiarire», ha dunque tuonato il titolare della Farnesina su X, convocando immediatamente l’ambasciatore israeliano in Italia.


Stessa cosa fatta anche dal ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot. Mentre anche la Spagna ha «condannato fortemente» l’episodio: «Siamo in contatto con gli altri Paesi colpiti per


coordinare congiuntamente una risposta a quanto accaduto», hanno scritto in un comunicato. Indignata anche la reazione dell’Alta rappresentante dell’Unione Europea per la Politica estera


Kaja Kallas, che in una conferenza stampa a Bruxelles ha ricordato a Israele i suoi obblighi: «Come firmatari della Convenzione di Vienna hanno l’obbligo di garantire la sicurezza di tutti i


diplomatici stranieri».


Parole durissime sono naturalmente arrivate anche dal ministero degli Esteri dell’Autorità Palestinese. Che ha descritto l’accaduto come un atto «deliberato e illecito, palese e grave


violazione del diritto internazionale». Tornando poi a chiedere protezione internazionale per il personale diplomatico che opera in quell’area e per l’intero popolo palestinese. In serata,


poi, perfino Hamas ha fatto sentire la propria voce: «Quel che è accaduto è una manifestazione dell’arroganza degli occupanti israeliani e della loro violazione di tutte le norme


internazionali».


Di sicuro, la dinamica che ha portato all’incidente internazionale che ha indignato mezzo mondo non è stata finora chiaramente spiegata. Esprimendo «rammarico per l’inconveniente causato»,


il comandante della divisione della Cisgiordania dell’esercito israeliano, generale Yaki Dolf, ha chiesto un’indagine sull’accaduto. E anche il capo dell’amministrazione civile della Difesa,


generale Hisham Ibrahim, ha ordinato ai suoi ufficiali di contattare immediatamente i rappresentanti dei Paesi coinvolti, dicendosi disposto a tenere «presto colloqui personali con quelle


persone, aggiornandoli sui risultati dell’indagine condotta sull’accaduto».


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